martedì 11 ottobre 2016

#Regalamiunracconto: "Candyman", Vincenzo Zonno - Parte 2

Fonte dell'immagine di sfondo:Grass Cloth Wallpaper

Eccoci arrivati alla seconda parte del racconto di Vincenzo Zonno. Siete pronti a scoprire come andrà a finire questa storia? Per chi non avesse letto la prima parte è qui: 


Come anche nell'atro post e in quelli futuri che riguardano i racconti di questa iniziativa:

Mi corre l'obbligo di specificare che i racconti che sono stati mandati dagli autori, nonostante siano pubblicati qui, sono di loro proprietà. E' severamente vietato copiarli, anche se solo in parte o nella totalità, senza la loro espressa autorizzazione. Per informazioni e/o contatti, sarò felice di dare risposte a chi ne farà richiesta a me tramite la mail segnalata nei contatti.

Io questo racconto l'ho adorato, ma sono di parte perché conosco le potenzialità di Vincenzo dal suo libro che ho letto e che si chiama "Non è un vento amico" e che, se vi piace lo stile di quello che leggete qui, vi consiglio di cercare perché davvero vale la pena di conoscere questo scrittore esordiente ma già molto capace!

E' diviso in due parti solo perché era lungo, quindi lo dovete considerare un racconto unico, la divisione è fatta solo a beneficio dei lettori, già provati dal mio Diario, e per un'impaginazione che sia fruibile anche da dispositivo mobile.

Buone letture,
Simona Scravaglieri


Candyman
Seconda parte




Sara era seduta su una panchina. Si era fermata in un negozio e aveva acquistato delle scarpe basse: le prime che aveva trovato della sua misura. Ora le aveva tirate fuori dalla scatola e le osservava.
Sì, vanno bene.
Si guardò attorno, poi di gran fretta tolse quelle che aveva indosso, e infilò le nuove. Non erano bellissime, ma si sentì comunque a suo agio con questo paio molto meno appariscente di quelle che aveva indossato fino ad allora sotto gli occhi dell’intera popolazione urbana. Arrivata a questo punto, della vecchia calzatura portata a riparare, non sapeva più che farne e avrebbe potuto dimenticare tutto lasciando le cose così com’erano, ma aveva ancora una scarpa rossa che non le apparteneva...
«Maledette buone maniere.» Bisbigliò e poi si guardò attorno che nessuno l’avesse udita. «Ora mi tocca portargliela indietro e spiegare che la mia la può gettare. Dovrei fregarmene, sì... aaah! Maledizione!»
Infilò tutto nella scatola che aveva poggiata accanto sulla panchina, e alzandosi di scatto, si diresse verso il laboratorio del ciabattino.
Quando fu lì davanti, si accorse subito che non c’era nessuno, ma il negozio era comunque aperto e vi entrò.
«È permesso? C’è qualcuno?»
Niente, non vi fu risposta. Iniziò ad aggirarsi all’interno e notò che vi erano poche calzature, ma tanti arnesi e materiali per eseguire delle riparazioni. Se ne stupì e ciò aumentò la sua curiosità, poi vide la porta del retro e non seppe resistere: si avvicinò e provò ad aprirla. La porta era chiusa, ma vi erano ancora le chiavi nella toppa. Sentiva forte l’imbarazzo della situazione: era lì, dove non poteva, e già dietro a quel bancone sostava in un luogo proibito. Rischiava di fare una figura pessima o di dover giustificare in qualche modo quell’intrusione. Si spostò in fretta tornando sui suoi passi, ma qualcosa la bloccò d’improvviso.
Ci sono vari modi per dare un nome a queste sensazioni che ti prendono e costringono a fare cose inusuali. A lei venne in mente solo stupidità e l’accettò con tutte le eventuali conseguenze. Sentì travolgente l’impulso che la ricondusse davanti a quella porta. Si guardò un attimo intorno, girò la chiave ed entrò.
Cinzia era seduta sulla stessa seggiola che l’aveva ospitata prigioniera e legata fino a pochi minuti prima; aveva lo sguardo impaurito con labbra frementi e occhi sgranati. Si stava massaggiando i polsi quando Sara entrò. Non si alzò e attese che accadesse qualcosa; tutto per lei in quel giorno poteva procurarle del male e ne era consapevole. Questo era ciò che traspariva dal suo sguardo.
«Mi scusi.» Disse Sara d’impulso. «Sono venuta a riportare una scarpa che il calzolaio mi aveva prestato. Posso lasciarla qui? A voi?»
Cinzia la osservò senza rispondere.
«Allora la lascio e vado via? Posso...? Mi scusi ancora.»
Fu in quel momento che Sara si accorse che la donna aveva una sola scarpa ai piedi ed era la gemella di quella che lei teneva in mano. La laccatura rossa risplendeva nonostante l’oscurità.
«C’è qualcosa che non va? Stai bene? Mi chiamo Sara, lei... tu? Come ti chiami, ti è successo qualcosa?»
«Mi chiamo Cinzia. Sai i risultati delle partite di calcio?»
«Calcio? Che calcio? No, non so niente delle partite.» 
VI 
Jack rientrò con una confezione di gallette di kamut e una bottiglia d’acqua. Attraversò la bottega e si diresse subito sul retro. Cinzia era in piedi e sembrava l’attendesse. Si strofinava ancora i polsi e aveva lo sguardo sconvolto. Quando vide Jack andò subito verso la seggiola e sedette.
«Sono per me?» Disse timidamente.
«Sì. Avrai fame?»
«Sì, un po’, e ho sete.»
Jack glieli porse e sedette a sua volta. Lei prese una galletta e iniziò a mangiarla a piccoli morsi alternando sorsi d’acqua. Aveva movimenti delicati quel piccolo essere che Jack aveva iniziato a vedere con occhi diversi e per cui provava una sorta di tenerezza. Ciò lo spaventava. Lui non era fatto per questi sentimenti; non rifletteva più e lo aveva già dimostrato quella mattina facendo un errore troppo banale per lui.
Forse più di uno...
Si alzò e accese una lampada poggiata sul tavolo dove c’era la radio. Finalmente vide bene la donna che per strane casualità di quella giornata era ancora in vita. La scoprì non giovanissima, ma i suoi lineamenti erano ancora molto piacevoli. Aveva capelli biondi e corti, e un viso dolce e delicato.
«Chi può volere la tua... la tua morte?» Disse.
«Non lo sai?» Gli rispose quella, duramente.
D’improvviso Cinzia non era più Cinzia.
Aveva alzato il capo e i suoi occhi non più sgranati e spauriti, brillavano furbizia. Le sue labbra non tremavano e lei sorrideva con fare spocchioso.
«Ti chiami davvero Thomas?» Gli disse. «La porta era aperta.»
«Come...? Che porta?»
Fece appena in tempo a capire, Jack. La porta del retro, non l’aveva trovata chiusa a chiave quando era rientrato. Ora ci pensava e ricordava perfettamente di averla serrata quando era andato via, e poi aveva preso le chiav... no, non le aveva prese.
La porta non era chiusa, pensò ripetendolo più volte a punire la propria stoltezza.
No, non poteva esserlo perché Sara era ancora lì dentro... alle sue spalle...
Un luccichìo e un tonfo nel cervello, e un breve dolore si trasformò in una scossa che lo percorse interamente attraverso le vertebre. Qualcuno scaraventò tutta la propria forza con un grosso ciocco di legno sulla sua nuca facendolo accasciare sulla sedia privo di conoscenza. Sara guardò Cinzia e sorrise quindi lasciò il legno che sbottò in terra.
Quando Jack si svegliò, aveva le mani legate dietro la schiena e poggiava con una guancia sul pavimento. Il primo pensiero che gli transitò da un lobo all’altro della testa fu una figura riflessa negli occhi di Cinzia: era l’immagine di una donna e gli ricordava qualcosa... qualcuno... quella ragazza che gli aveva lasciato la scarpa da riparare. L’aveva vista con lo sguardo rabbioso accanirsi su di lui con un qualche oggetto enorme nelle mani.
La prima cosa che vide, invece, furono le scarpe di vernice, rosse e brillanti, di Cinzia che era in piedi vicino al suo viso. Aveva un gran dolore alla nuca; fece una smorfia strana e uno schiocco sgranchendosi le mascelle, poi ruotò il capo verso l’alto per guardare la donna.
Cinzia non aveva più quell’aria sommessa. I suoi lineamenti erano divenuti ulteriormente squadrati e il suo sguardo massiccio penetrava l’anima delle persone e ne faceva scempio stuprandola per semplice svago.
«Quindi non sai chi mi voleva far fuori?» Gli disse.
«Ma... qualcuno dovrà pur averti dato l’ordine.» Spuntò un ghigno tra i suoi denti.
«Ho ricevuto il solito telegramma e i contatti li ho tenuti via radio. Chi mi ha colpito?»
Cinzia aveva un asciugamano e si strofinava le mani; fece un segno con il piede nell’angolo opposto a loro. Jack si voltò a fatica. A pochi metri da lui c’era Sara. Era stesa per terra con gli occhi spalancati verso l’alto e la bocca leggermente aperta: sembrava sorridesse. Un profondo taglio le attraversava la gola da un orecchio all’altro e una pozza di sangue le circondava il capo. Jack non poté fare a meno di guardarle anche i piedi, e le scarpe che ora indossava: non le stavano bene con quella gonna.
Di lato, in fondo, la confezione di un qualche cibo, molto colorata e appariscente rispetto a tanti oggetti offuscati dall’oscurità, di era stata aperta, svuotata e poi buttata in terra.
Ora poggiava sul pavimento lambita da un rigagnolo di sangue che l’aveva raggiunta.
Beef Jerky Honey. Diceva l’etichetta dai caratteri dorati.
Diavolo! Carne secca al miele Pensò Jack. Che razza di cose che mangia la gente... forse avrei dovuto dargliene invece di...
«Perché l’hai uccisa?» Le disse voltando soltanto gli occhi verso l’alto.
Cinzia non rispose. Aprì le braccia sorridendo come se tutto ciò fosse la normalità, poi prese un grosso coltello ancora sporco dal tavolo, e si avvicinò al suo viso puntandoglielo davanti a un occhio.
«Cosa ti hanno detto via radio?»
«Non parlano molto e usano frasi senza senso che solo io posso capire.»
«Tipo?»
«Tu eri un agnello... qualcosa del genere.»
«Uhm... sì, mi piace... scommetto che avresti avute in cambio delle caramelle...»
Così come si compiono i lavori di ogni giorno, come si spazzola un cane o come si pulisce un pesce prima di cuocerlo, Cinzia alzò la testa di Jack tirandolo per i capelli e gli fece scivolare con decisione e leggerezza, la lama sul collo da un orecchio all’altro, generando un suono sottile e piacevole a non conoscere l’attrezzo che l’aveva procurato. Gli mollò poi la testa che causò un tonfo attutito dai liquidi già copiosi sul pavimento, e lo lasciò esanime e sanguinante senza neanche guardarlo. Prese di nuovo l’asciugamani e ricominciò a strofinarsi ossessivamente le mani, quindi si avvicinò alla radio e l’accese.
Ruotando per alcuni minuti una grossa manopola alla ricerca di un qualche canale fra frequenze rumorose e inutili, si fermò infine ad ascoltare i dialoghi fra due camionisti. Nel mentre addentò con golosità un pezzo di carne secca. I due sconosciuti dell’etere stavano parlando di calcio. Lei tirò fuori alcuni foglietti da un taschino della camicia e li guardò con attenzione mentre...
«Maledizione! schifosa squadra di merda.» Urlò stizzita.
Accartocciò il foglietto e lo lanciò per terra. Questo rotolò sul pavimento e si fermò sulla pozza di sangue fresco davanti al viso di Jack, divenendo in breve tempo completamente rosso. 
VII 
L’umidità dell’aria era tale che il commissario non poteva fare a meno di continuare a toccarsi la giacca convinto che fosse completamente bagnata. Nel mentre guardava i suoi uomini intenti in un faticoso recupero. Sul porto c’era poca luce e la luna era coperta da nuvole spesse che promettevano pioggia. In lontananza si vedevano fulmini così luminosi e vasti da incutere timore anche a uomini grandi e grossi com’erano loro. Stavano cercando di arrancare un cadavere che stava accasciato sopra alcuni scogli sotto la banchina. Quando finalmente si riuscì a trasportarlo e stenderlo sul molo, il commissario tirò un sospiro di sollievo. Il dottore, sopraggiunto in quell’istante, si chinò accanto alla salma e la guardò con attenzione, poi scrisse qualcosa sul suo quaderno e si alzò. Si avvicinò al commissario.
«Gli hanno rotto il collo, forse con una torsione, non so.» Allargò le mani. «Sa chi era?»
«Candyman, un pezzo grosso della malavita.»
«...il vero nome?»
«No, ovviamente. In pochi conoscevano il suo nome, e lavorava per il peggiore. Spesso fanno questa fine gli uomini di quella bestia... ma non farmi dire altro.»
«Perché l’avrà fatto fuori?»
Il commissario tirò su le spalle, poi si strofinò le braccia e controllò che la propria giacca non fosse bagnata, quindi si chiuse il bavero con una mano.
«Andiamo.» Disse contrariato.
Il dottore lo seguì.
«Chi può dire perché si ammazzino?» Continuò come se stesse rispondendo a se stesso. «Probabilmente dei dissapori, anche piccoli. Oppure il tentativo di quest’ultimo di farsi strada. Chi lo sa? Che si ammazzino pure fra loro. Basta che dei poveretti non ci vadano di mezzo.»

Prossimo appuntamento con #Regalamiunracconto...

"Vlad l'ammazza vampiri" di Irene Daino (Librangolo Acuto)
Martedì 18 Ottobre
Non perdetelo!!!

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