giovedì 11 maggio 2017

[Dal libro che sto leggendo] Giulia Tofana. Gli amori, i veleni

Fonte: LettureSconclusionate

Siamo in una Palermo di inizio 1600 dove la ricchezza sfrenata campa ancora alle spalle della povera gente e dove chi non ha nulla vive di espedienti per sbarcare il lunario. Due donne ci accolgono in una casa sono Giulia e Girolama. La prima bella, capace di tenere ogni uomo in pugno e ottenere quello che vuole. La seconda non ha la stessa fortuna e dipende quasi completamente dall'altra che la ritiene al pari della sorella. Poi c'è il barone, un prete, la peste, una donna poco avveduta che uccide il marito e compra vestiti e il sospetto... Giulia deve cambiare vita e ci prova davvero, ma lui? Il barone? Dove sarà finito?

Sto cominciando a pensare che potrei scrivere le sinossi :D. Comunque a parte gli scherzi il libro è davvero molto bello. Ha un buon ritmo, non è lunghissimo, ma alla fine vorresti andare avanti per vedere come prosegue la storia. E in tutto questo la trama è pertinente con quel che sappiamo del periodo storico, anche perché Giulia è davvero esistita, solo che con la penna della Assini riprende vita diventando più affascinate di una qualunque raffigurazione contemporanea.  

Ma sulla pagina fan avevo annunciato qualche novità. Non ve le posso anticipare tutte, ma lo farò quando sarà possibile. Ma la prima ve la posso dire ed è l'annuncio di uno spostamento di sito. Tranquilli non ora ma a Gennaio 2018 LettureSconclusionate si sposterà su WordPress per permettere alla sottoscritta di avere vita più semplice (l'indirizzo che ospita il backup di questo è: https://letturesconclusionate.wordpress.com/e allo stato attuale va ottimizzato quindi mi ci vorrà un po' di tempo!).

Per oggi vi ho detto tutto, vi sfido a leggere e a non pensare "Acc.. mannaggia a lei poteva arrivare un po' più giù nel trascrivere questo pezzo!"
Buone letture,
Simona scravaglieri

Un frastuono di trombe, tamburi e campane annunciava la festa. Per tutta la notte i cavalieri dei quattro mandamenti di Palermo avevano tirato a lucido gli elmi e le spade; adesso confluivano senz’ordine al Piano della Marina, luogo di giochi e di supplizi, dove centinaia di popolani li attendevano da ore, impazienti di assistere al torneo.


Giulia, meretrice dalla bellezza prorompente, e Girolama Spinola, sua sorella di latte, s’erano già agghindate con gli abiti delle grandi occasioni, pronte per andare anche loro a godersi lo spettacolo. Stavano per uscire quando qualcuno bussò con insistenza alla loro porta.

«Passate domani, ché oggi non si riceve!» strillò una delle due, ma senza aprire.
«Reco con me una lettera di don Antonio Navarro destinata a donna Giulia» precisò il messaggero, al servizio del segretario di Emanuele Filiberto di Savoia, nuovo viceré ed ennesimo forestiero a salire sul trono siciliano.
A quel nome, Girolama si precipitò sull’uscio. Dopo essersi profusa in un inchino dichiarò, mentendo, che la sua compagna era partita giusto la vigilia, per una visita ai parenti, in un contado alle falde del monte Pellegrino.
Schietta per natura, ruffiana per necessità, pur di entrare nelle grazie del messo gli regalò un paio di pomi appena colti nell’orto e intanto, con quattro moine, lo convinse a rivelarle il contenuto del biglietto, dato che né lei né l’altra avevano mai imparato l’alfabeto.
«Sua Eccellenza invita madama Tofana alla mascherata di Carnevale» annunciò lui, ammiccando. «Seguono onesti complimenti e rispettosissimi saluti.»
«Rassicuratelo, nessuna creatura di buon senso mancherebbe a un tale appuntamento» rispose la giovane congedandolo con un rincaro di salamelecchi.
Rientrata in casa, smise di sorridere e cominciò a strillare: non ne poteva più di raccontare menzogne a questo e a quello, solo perché d’un tratto la titolare del postribolo s’era messa a fare la preziosa, negando i suoi favori anche ai clienti d’alto rango.
«E se Navarro dovesse mangiare la foglia sui tuoi trucchi?» domandò all’amica con la voce stizzita e le mani sui fianchi. «Saperti un’impostora gli farà prudere le mani.»
Per nulla scossa, Giulia le rispose per le rime: certe sollecitazioni alla prudenza non le voleva più ascoltare e della tracotanza dei potenti ne aveva fin sopra i capelli.
«Non fare la sbruffona ché non ti conviene! Avrai pure ridotto quel bellimbusto a un suddito della tua alcova, ma nemmeno il Padreterno potrebbe salvarti dai suoi fulmini se mai dovesse scoprire che lo inganni.»
«Gli ho detto chiaro e tondo che pretendo di più, e lui che ha
fatto? S’è illuso di azzittirmi buttandomi un po’ di fumo negli occhi con la buffonata del Carnevale» protestò Giulia, avvampando di collera.
Stanca di restarsene nascosta, oggetto di desiderio e di vergogna, considerava un’offesa lo stratagemma di Navarro che, nel fingere di accontentarla, aveva accettato di mostrarsi con lei in pubblico nell’unica festa dell’anno in cui, col volto coperto, nessuno avrebbe potuto riconoscerla.
Di spirito pratico, Girolama si limitò all’evidenza: «Non basta un abito per cambiare la propria storia, né le essenze di rosa per soffocare il fetore delle fogne da cui si proviene. Al contrario di te, quello è uno che conta e se non la pianti di imbrogliarlo, ti caccerai in guai seri.»
«Non temo le catastrofi: so come venirne fuori. E poi l’istinto, che non m’ha mai tradito, mi suggerisce che andrà tutto liscio come l’olio» borbottò l’amica, rivendicando con orgoglio l’abilità con cui finora aveva gestito le situazioni più incresciose. Ma siccome l’altra perseverava nelle critiche e nelle raccomandazioni, andò all’attacco:
«Sei una testa di legno e non intendi ragioni! Capirai mai che per trarre profitto dalle circostanze occorre volgere la vela a seconda del vento? E che le mie bugie sono come le selle, che vanno bene per tutti i cavalli?».
Venere plebea scolpita in marmo pario, si diresse altera verso la specchiera grande per completare la toletta con polvere di Cipro e acqua al profumo di zagara.
«Invece di brontolare, aiutami a vestirmi o finirò per fare tardi» ordinò con quei suoi modi da padrona, agitando il laccio di seta azzurro che serviva a stringerle il corpetto.
«Che novità è questa? Non andiamo assieme alla giostra?». Giulia scosse il capo e lei, in fiamme, l’accusò d’essere avventata e folle. Di fronte all’impotenza dei suoi stessi argomenti, si rivolse in alto:
«Gesù, aiutatemi voi a farla rinsavire o da questa storia non ne usciremo vive!».
«Quante storie! Se t’avessi detto subito che sarei andata a svagarmi per mio conto, m’avresti messa in croce per sapere dove e con quale compagnia.»
Il tono dell’amica si fece di colpo più conciliante: «Sei o non sei un pezzo del mio cuore? E allora, perché mi neghi il diritto di impicciarmi degli affari tuoi?». Non aspettò risposta e riprese a lagnarsi:
«Da settimane, ogni mattina, ti vedo uscire alla stessa ora, ma senza avere la minima idea di quale sia la tua meta.»
Di fronte alla bocca cucita della meretrice, lei mise il broncio, però finì di imbrigliarle con cura la treccia dentro una rete argentata, quindi l’accompagnò fin sull’uscio con immutata premura. Restò a guardarla mentre s’allontanava con passo incerto, per via delle vesti ingombranti, e con il capo coperto dal velo, per paura d’essere riconosciuta dalle spie della corte vicariale.
Sotto un cielo giallo senza nuvole, Giulia s’avventurò nelle strade gremite di carretti, mercanti, animali da soma e da cortile, fannulloni e traffichini, oltre a un’ammucchiata di buffettieri che vendevano interiora arrostite sulla brace, verdure bollite, pane con la meusa e altri peccati di gola. Preferì allungare il cammino piuttosto che rischiare incontri non graditi e quando, con notevole ritardo, arrivò alla chiesetta di San Cataldo, il giovanotto col quale aveva convegno l’accolse con un sospiro di sollievo.
Quel giorno Manfredi era più bello del solito. Forse per via dell’armatura nuova. Forse perché la luce del mattino gli metteva in risalto l’azzurro intenso dello sguardo.
«Avrai un posto d’onore in tribuna» le annunciò indicandole una carrozza poco distante, dove due schiavi mori e un cocchiere in livrea vermiglia aspettavano di condurla al torneo. Quanto a lui, avrebbe raggiunto a cavallo il luogo della sfida. A scortarlo, quattro valenti cavalieri che sotto le vesti sgargianti nascondevano le armi, una precauzione d’obbligo lì a Palermo, dove spesso, per un nonnulla, le feste volgevano in tragedia. «Mi batterò con onore e dedicherò a te la vittoria.»
A quel punto, la meretrice corse sotto la statua di San Cataldo, il santo che proteggeva dalle guerre e dalla morte improvvisa. Accese due ceri, temendo che uno solo non fosse sufficiente per preservare l’amato dai colpi avversari.
«Non stare in pena per me: se anche dovessi battermi contro un’armata intera, mi basterà il pensiero del tuo amore per darmi la forza di un leone.»
Dopo aver pregato l’uno a fianco dell’altra, incominciarono a scambiarsi un mucchio di promesse e qualche rimprovero.
«Non so ancora niente di te e questo mi indigna e mi addolora» si lamentò Manfredi, incredulo davanti all’ostinata segretezza con cui Giulia proteggeva la sua vita.
«Non è forse il mistero ad alimentare le passioni?» replicò lei sbrigativa, mentre sprofondava in un mare d’imbarazzo. Fatto sta che non aveva alcuna voglia e nessuna fretta di scoprire le sue carte. Incalzata da domande alle quali non intendeva rispondere, si diede
un contegno facendosi aria con il ventaglio. Eppure, con quel suo atteggiamento a tratti strafottente, poteva forse confondere Manfredi, ma non se stessa. Smarrita, si sorprese a fare i conti con una realtà di cui non aveva più il governo: ormai i suoi sentimenti per il giovane avevano preso il sopravvento su tutto, comprese l’impudenza e la superbia per cui andava nota.
Nata per caso, la sua storia col barone non era mai stata un gioco, e adesso stava diventando un peso, proprio perché non ne poteva più fare a meno.
S’erano conosciuti in circostanze ambigue, al termine della corsa delle prostitute che si svolgeva lungo il Cassaro una volta l’anno, per la festa di sant’Agata. Complice un violento temporale, entrambi avevano cercato riparo nella vecchia bottega d’un sarto. In quello spazio angusto, tra rotoli di stoffa e rocchetti di filo, s’erano scrutati con reciproco interesse, essendo tutt’e due pieni di grazia e allegri, d’una bellezza fuori del comune.
Al principio, Giulia aveva mantenuto le distanze, ma solo per astuzia. Come per dire, senza dirlo, di non avere nulla a che spartire con le protagoniste della triviale manifestazione.
Quella fiera di donne perdute, nata anni prima da un’idea del viceré del tempo, uno dei Colonna, aveva l’unico scopo di dilettare i potenti di turno in cerca di emozioni basse. A onore del vero, Giulia non aveva mai fatto parte di tale malfamata congrega, ma solo perché, godendo di alcune protezioni nelle alte sfere, non era stata costretta a frequentare quel gran bordello che si estendeva dalla Boccerai della Foglia fino giù alla Cala. Né s’era mai venduta a mozzi e contadini.
Di tutto questo, in una diversa occasione se ne sarebbe fatta un vanto, ma in quel contesto s’era ben guardata dal farne la minima menzione. Anzi, s’era divertita a interpretare la parte della fanciulla di sani principi e costumi.
Senza ombre né macchie era, invece, la vita del barone. In molti lo chiamavano il “Normanno”, perché era alto e soprattutto biondo. Coi suoi vent’anni e il piglio d’un antico cavaliere, il volto ben rasato e gli occhi chiari, gli stemmi di famiglia e i forzieri pieni, il giovanotto abitava i sogni di un’infinità di dame ed era la spina nel fianco di moltissimi rivali. Eppure lui, che agli eccessi preferiva la misura, sfoggiava poco o niente delle sue fortune, mostrandosi spesso riluttante verso i fastosi ritrovi cari a quelli del suo rango.
Nel corso del provvidenziale acquazzone s’era comportato da perfetto gentiluomo, anche se, prima che potesse spiovere, aveva fatto di Giulia una città sotto assedio. Quando infine, come un segno di buon augurio, l’arcobaleno aveva rischiarato il cielo, le aveva già strappato la promessa di un appuntamento per l’indomani, in un luogo più discreto.
S’erano avviati insieme in direzione della Porta Felice, che conduceva al mare, parlando di dazi e di pirati, uniti dal medesimo odio verso gli oppressori spagnoli. Al momento del congedo, Manfredi non aveva avuto dubbi nel confessarle un profondo turbamento in cui Giulia aveva riconosciuto il suo. Sorpresi da eguali desideri e pari intenti, s’erano ripromessi di non perdersi.

Questo pezzo è tratto da:

Giulia Tofana
Gli amori, i veleni
Adriana Assini
Scrittura&Scritture, ed. 2017
Collana "Voci"
Prezzo 14,00€

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