Fonte: Galeioscopio |
Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l'idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. Questo discorso vale per tutta la gamma dell'amore.
Fernando Pessoa
Fonte: Galeioscopio |
Fonte: La voce dei venti |
[...]Vedi, era un mondo capace di curarsi dei piccoli rituali dell'esistere, perché non aveva fiducia in quelli grandi, quelli storici, quelli definitivi insomma. Napoli non ha mai creduto ai finali e quando lo ha fatto è stato per saggezza, diciamo per una finzione superiore. Questo sfizio greco di campare dipendeva dal fatto che la città aveva una frequentazione privilegiata con la morte, con la morte e tutti i suoi simili"
[...] "l'unica cosa che ti consente di distinguere fra le conoscenze e le amicizie e' indiscrezione. E Napoli con la morte e' sempre stata indiscreta, perchè Napoli con la morte, aveva fatto un'amicizia antica. La maggior parte delle indiscrezioni arrivava dai fantasmi e questi fantasmi venivano da tutte le categorie sociali."
"[...] il piacere di assistere all'apparizione è sempre accompagnato dalla paura di assistere all'apparizione stessa. [...] Qualche volta i fantasmi possono essere morti, ma altre volte possono essere vivi. Fantasma puo' essere un'intera storia che torna, in cui le voci reclamano un diritto, un verità[..]
Fonte LettureSconclusionate |
Fonte: Risparmio libro |
1. LA CENA
Non ci potevamo credere.
Lo guardammo. Dentro agli occhi come se volessimo cercare il cervello. Era tutto vero.
Le cose vogliono essere dette. L'illusione che siamo stati noi a dirle crolla nel momento in cui esce di bocca, perfettamente autonome, cullate da una mano di ostetrica troppo sapiente per essere la nostra. Ci usano, sfruttano il nostro apparato fonatorio: solleticano la glottide, si arrampicano sul velo del palato, bussano sui denti, premono contro le labbra e si danno al mondo nella forma di lessemi. Le cose che si sono fatte dire si librano davanti alle nostre facce per farci sapere che oramai è tardi che non si può tornare indietro. È rassicurante questo fatto, almeno per uno come me che in vita sua ha sempre preferito farsi trasportare, piuttosto che trascinare. Le parole sono muscoli involontari e se sto camminando, adesso, a quest'ora, sperando che mia moglie, a casa, stia morendo di preoccupazione, be', è colpa loro.
Lo accogliemmo con una semplicità plastificata. Ci sentivamo a disagio perché mai , da quando eravamo sposati, avevamo accolto una persona "single" a cena. Questo fu, per me e mia moglie, il benvenuto alla "trasgressione". Un uomo molto più grande. con le mani tese nell'atto di porgerci un regalo, come è d'uso quando si viene accolti in casa altrui: una bottiglia di vino rosso, uno Shiraz del Casale del Giglio proveniente dal mio negozio. Prima risata d'ordinanza: il pacchetto gliel'avevo fatto io stesso il giorno prima e quella annotazione ovvia, tra esseri umani troppo adulti, diventò utilissima come antidoto al veleno da imbarazzo.
Fonte: I sentieri della ragione |
Fonte: Bangkok com |
Capitolo 1
Una giornata in libreria
[...][...]
Bene, allora partiamo dall'inizio: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.!. Be', no, forse siamo andati troppo indietro, effettivamente questo è il principio di tutto, a noi basta iniziare dal principio della giornata. Mattina. Tira su la serranda, accendi le luci, avvia i computer, passamano delle novità - accidenti quanta roba, non mi dite che è uscito un nuovo libro di Camilleri - e dei rifornimenti da sistemare in magazzino, una prima occhiata veloce ai quotidiani. Dal lunedì al mercoledì acquisti canonici: la Repubblica, Corriere della Sera, Il Foglio di Ferrara e quelli più nazional popolari, ma solo se avanzano gli spiccioli; il venerdì copia obbligata di Corriere della Sera e Repubblica che propongono i loro allegati ricchi di recensioni e novità editoriali: spesso i clienti entrano in libreria direttamente col magazine in mano. Il sabato si aggiunge La Stampa che propone Tutto libri, seguitissimo dai lettori intellettuali. La domenica messa, pastarelle, se è bel tempo passeggiatina in villa, e poi, con la sportina della spesa verso l'edicola ciminiera, dove ad aspettarti sbevazzando birra in qualunque momento della giornata e tenendo testa ad Andrea Camilleri quanto a sigarette, ci sono le gemelle. Attenzione a ricordarvi una cosa importantissima: mai e sottolineo mai, uscire dall'edicola senza aver preso Il Sole 24 Ore. C'è il "Domenicale", mancarlo vuol dire segnare malamente tutta la settimana successiva. Per i super librai, inoltre, per quelli che proprio vogliono distinguersi, stare sempre sul pezzo, ad attenderli in edicola c'è il mensile radical chic L'Indice dei libri del mese. Un'occhiata veloce alle vetrine, cartellini d'ordinanza e tutti belli puliti e profumati iniziamo una nuova giornata in libreria. Le nove spaccate. Lo spettacolo inizia, ecco arriva il primo cliente.
Libraio: "Prego, come posso aiutarla?"Cliente: "Dovrei regalare un libro ad una persona che non legge."Libraio: (Mazzo di fiori, del vino, un badile) "Guardi ci sarebbe questo: questo di sicuro fa al caso suo!"
Lui: "Ma che gli regali Socrate?"Cliente: "Si, perché, che male c'è?"Lui: "Ma uno può ancora stare a leggere Socrate? E dai su!"Libraio: ?
Fonte: Voglia di |
Fonte: My French Life |
Fonte: LettureSconclusionate |
Fonte: theelmstraveldiaries |
Era un martedì quando arrivò una lettera che avrebbe cambiato ogni cosa. un normalissimo mattino di metà aprile che profumava di bucato fresco e di erba tagliata. Harold Fry era seduto a far colazione, sbarbato a puntino, con la camicia immacolata e la cravatta, in mano una fetta di pane tostato che però non stava mangiando. Dalla finestra della cucina guardava il prato tosato, trafitto a metà dal filo telescopico del bucato di Maureen e intrappolato sui tre lati dallo steccato dei vicini."Harold!" lo chiamò Maureen, urlando per sovrastare il rombo dell'aspirapolvere. "Posta!"Ebbe la tentazione di uscire, ma l'unica cosa da fare era falciare il prato, e l'aveva già fatto il giorno prima. L'aspirapolvere piombò nel silenzio e apparve sua moglie, con la faccia arrabbiata. Si sedette di fronte a Harold.Maureen era una donna esile, con una zazzera grigia, il taglio a scodella e il passo svelto. All'epoca in cui si erano conosciuti, niente lo rendeva più felici che farla ridere. Guardarla scomporsi in una sfrenata felicità."È per te", gli disse. Lui non capì finché lei non fece scivolare una busta sul tavolo, fermandosi vicino al gomito di Harold. Entrambi guardarono la lettere come se non ne avessero mai vista una. Era rosa. "Il timbro è quello di Berwick-upon-Tweed."Harold non conosceva nessuno a Berwick. Del resto, non aveva molti conoscenti da nessuna parte. "Magari è un errore.""Non credo. I timbri non si mettono a casaccio." Prese una fetta di pane dal portatoast. A lei piaceva freddo e croccante.Harold ispezionò la misteriosa busta. Il rosa non era quello dei sanitari del bagno, o degli asciugamani e del copritavoletta peloso in tinta: una tonalità accesa che lo metteva a disagio. Questo invece era delicato. Era il rosa dei lokum. Il suo nome e l'indirizzo erano scribacchiati con la biro, e le goffe lettere si tuffavano l'una nell'altra come se le avesse scritte un bambino frettoloso. Signor H. Fry, 13 Fossebridge Road, Kingsbridge, South Hams. Non riconosceva la calligrafia."Allora?" disse Maureen, passandogli un coltello. Lui infilò la lama sotto l'angolo della busta e la aprì con un colpo netto. "Fa' attenzione", lo ammonì.Mentre estraeva la lettera e inforcava gli occhiali, sentì lo sguardo della moglie puntato si di sé. Il foglio era scritto a macchina e recava l'indirizzo di un luogo a lui sconosciuto: casa di cura San Bernardino. Caro Harold, questa lettera ti coglierà di sorpresa.Gli occhi corsero alla firma."Allora?" ripeté Maureen."Dio mio! È di Queenie Hennessy."Maureen infilzò una noce di burro con il coltello e la schiacciò su tutta la lunghezza del toast. "Queenie chi?""Lavorava al birrificio. Anni fa. Non ricordi?"Maureen alzò le spalle. " È perché dovrei? È passato così tanto tempo... Mi dai la marmellata di fragole?""Lavorava in contabilità. Era bravissima.""Questa è marmellata di agrumi, Harold. Quella di fragole è rossa. Magari, guardare le cose prima di prenderle potrebbe tornarti utile."Harold le passò il vasetto e tornò alla sua lettera. Era battuta in maniera impeccabile; nulla a che vedere con gli sgorbi sulla busta. Sorrise, ricordandosi che Queenie era sempre stata così: talmente precisa in tutto ciò che faceva che era impossibile trovarle una pecca. "Lei di te si ricorda. Ti manda i suoi saluti."La bocca di Maureen si contrasse in una smorfia. "Un tizio alla radio ha detto che i francesi vogliono il nostro pane. In Francia non riescono a farselo affettare. Vengono qui e lo comprano tutto. Il tizio ha detto che potrebbe già scarseggiare prima dell'estate." Si interruppe. "Harold? Qualcosa che non va?"Lui non rispose. Si alzò pallido e con le labbra semiaperte. Quando ritrovò la voce, flebile e distante, disse: "È... cancro. Queenie scrive per dirci addio" Annaspò alla ricerca di altre parole ma non ce n'erano.
Fonte: IRoby |
Fonte: Libera no domine |
Quando parlavamo con i morti
A quell’età hai sempre la musica in testa, come se una radio trasmettesse nella nuca, sotto il cranio. Un giorno, questa musica comincia a suonare più bassa, o semplicemente si ferma. Quando ciò succede smetti di essere adolescente. Ma non era neanche lontanamente il caso dell’epoca in cui parlavamo con i morti. Anzi, ai tempi la musica era a tutto volume e suonava come gli Slayer di Reign in Blood.
Cominciammo con il bicchiere a casa della Polacca, chiuse nella sua stanza. Dovevamo farlo in segreto perché Mara, la sorella della Polacca, aveva paura dei fantasmi e degli spiriti, aveva paura di tutto, bah, era una ragazzina. E dovevamo farlo di giorno, sempre per la sorella in questione e perché la Polacca aveva una famiglia numerosa, tutti andavano a dormire presto, e questa cosa del bicchiere non piaceva a nessuno, perché erano stracattolici, andavano a messa ogni domenica e recitavano il rosario. L’unica che si salvava di quella famiglia era la Polacca: era stata lei a trovare una fantastica tavola ouija, in offerta speciale insieme con alcuni supplementi di magia, stregoneria e fatti inspiegabili che si chiamavano Il Mondo dell’Occulto, si compravano in edicola e si potevano rilegare. La tavola l’avevano già regalata diverse volte insieme ai fascicoli, ma ogni volta era terminata prima che una di noi riuscisse a racimolare i soldi per comprarla. Finché la Polacca non prese la cosa sul serio, risparmiò, e ci ritrovammo con la nostra preziosa tavola, che aveva i numeri e le lettere grigi, lo sfondo rosso e dei disegni satanici e mistici intorno al disco centrale. Ci riunivamo sempre in cinque: io, Julita, la Pinocchia (la chiamavamo così perché era di legno, la peggio somara a scuola, non perché avesse il naso lungo), la Polacca e Nadia. Fumavamo tutte e cinque, tanto che, quando giocavamo, sembrava che il bicchiere galleggiasse sul fumo e, quando andavamo via, lasciavamo appestata la stanza della Polacca e di sua sorella. Come se non bastasse, quando iniziammo il gioco del bicchiere era inverno e non potevamo aprire le finestre, perché si moriva di freddo.
Dalila, la madre della Polacca, ci trovò così, avvolte nel fumo e con il bicchiere completamente impazzito, e ci buttò fuori di casa a calci. Riuscii a recuperare la tavoletta (e da allora ce l’ho io) e Julita riuscì a evitare che il bicchiere si rompesse: sarebbe stato un disastro per la povera Polacca e per la sua famiglia, perché il morto con cui stavamo parlando giusto in quel momento sembrava davvero cattivo e ci aveva detto addirittura che non era uno spirito, ci aveva detto che era un angelo caduto. Già allora sapevamo bene che gli spiriti sono dei gran bugiardi e fanno i furbi, e non ci lasciavamo più spaventare dai loro stupidi trucchetti, come indovinare i compleanni o il secondo nome dei nonni. Ci eravamo giurate con il sangue (pungendoci il dito con un ago) che nessuna muoveva il bicchiere, e io mi fidavo. Io non lo muovevo, non l’ho mai mosso, e neanche le mie amiche, ne sono sicura. All’inizio il bicchiere ci metteva un po’ a muoversi, ma quando prendeva il via sembrava che una calamita invisibile lo unisse alle nostre dita, non dovevamo nemmeno toccarlo, non lo spingevamo mai, non ci poggiavamo neanche un po’ il dito: scivolava sui disegni mistici e sulle lettere così rapidamente che, a volte, non facevamo in tempo ad annotare le risposte alle nostre domande (una di noi prendeva sempre nota) sul quaderno speciale che tenevamo apposta.
Quando quella pazza della madre della Polacca ci scoprì (ci disse che eravamo sataniche e puttane, e parlò coi nostri genitori: fu un casino), dovemmo smettere per un po’ di giocare, poiché era difficile trovare un altro posto.
Fonte: Giurdanella |
Fonte: LettureSconclusionate |